Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale: differenze tra i due approcci

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale: la relazione terapeutica

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale mi sembrava francamente impossibile. Negli anni avevo imparato qualcosa di molto importante sulle relazioni analitiche. Il rispetto, la presenza, il qui ed ora, l’ascolto, la non direttività, l’accoglienza, l’attenzione, le dinamiche di transfert e controtransfert, la comprensione. Mi sembrava che la sola sigla EMDR, spazzasse via in un attimo tutto questo.

Nella visione relazionale tutto si gioca nella relazione analitica. Il cambiamento del paziente è reso possibile dall’esperienza relazionale che fa col terapeuta.

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale: due menti insieme

L’analista relazionale deve continuamente analizzare il proprio vissuto, oltre a quello del paziente per costruire un certo campo analitico. Così quando lo spazio terapeutico sarà ingombrato dai fantasmi passati del terapeuta stesso, attivati dalla relazione col paziente, egli sarà in grado di accorgersene. Potrà dunque usarli nel processo clinico e favorire gli insight del paziente sulla sua storia relazionale. Dunque due menti lavorano e interagiscono. La relazione quindi non è solo una cosa carina e facilitante, è lo strumento dell’analisi.

Perché questo avvenga è necessario che il terapeuta si metta in una certa posizione rispetto al paziente, una posizione rispettosa, non giudicante, insatura, debole. Che questo sia davvero sempre possibile è tanto ingenuo quanto la neutralità freudiana, ma l’orizzonte del terapeuta deve essere quello.

Dunque per integrare EMDR e psicoanalisi relazionale bisogna capire che ruolo ha il rapporto terapeuta-paziente nell’EMDR. Nei protocolli EMDR non si parla di relazione. Deve esserci una buona alleanza, certo. Ma sostanzialmente quale terapeuta ci sarà non cambierà il tipo di percorso del paziente

Eppure, l’esperienza clinica dice altro. Durante l’elaborazione con EMDR tutto avviene nella mente del paziente. Io non faccio quasi nulla. Come un’insegnante montessoriana, metto la mente nelle condizioni di funzionare seguendo i suoi percorsi e poco altro. Potrei non esserci. Eppure sono lì. E spesso quando nella mia mente non succede nulla anche il paziente si blocca. O quando il paziente non ha immagini ce le ho io, gliele propongo io e lui riparte. E spesso quando il paziente non piange ho il magone io. C’è un campo relazionale, in cui siamo in due, dentro cui accade qualcosa.

Entrambi questi approcci hanno per me qualcosa di molto prezioso. Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale dunque è un imperativo, non una scelta.

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale: la posizione del terapeuta

Il terapeuta relazionale sta sul qui ed ora, su ciò che il paziente gli porta. Non ha una meta predefinita, si muove “senza memoria e senza desiderio”. Sostiene: “Io non so niente di te, faremo insieme la strada”. Si pone in posizione debole, di apertura e scoperta.

Rinuncia dunque a tutti i dispositivi che “oggettivizzano” il paziente. Cioè evita test, diagnosi, tecniche.  La terapia relazionale va alla ricerca di un senso e di una “verità” relazionale che si può ricercare solo nel proprio passato. Questa verità sarà sempre parziale.

Nell’EMDR invece c’è un contratto terapeutico iniziale, uno scopo da raggiungere e dei passaggi da fare per raggiungerlo. Ci saranno dei ricordi da elaborare si lavorerà affinché questo avvenga, anche se molto si scoprirà durante il percorso.

Il terapeuta EMDR farà anche largo uso della psicoeducazione.  Spiegherà come funziona il cervello, il trauma, le emozioni, i sistemi motivazionali.

Questo perché dare delle spiegazioni serve a integrare la mente e a fornire risorse a cui il paziente potrà accedere durante l‘elaborazione.

Il terapeuta EMDR insomma si pone su un piano competente. Sa delle cose che il paziente non sa. Ha delle informazioni, non solo delle esperienze analitiche.

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale significa dunque anche riuscire ad oscillare tra queste due posizioni, una debole e una forte.

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale: associazioni libere vs condivisione di vissuti

Nel lavoro relazionale terapeuta e paziente condividono un vissuto relazionale. Il terapeuta ci mette tutto se stesso. Usa il suo sentire per rimandare al paziente qualche cosa su di lui, sul suo modo di stare nelle relazioni.

Proprio l’essere di entrambi (terapeuta e paziente) è il motore e quasi il fine del processo analitico. Io come terapeuta ci metto il mio pezzo, partecipo alla riflessione, rendo possibile l’incontro e il cambiamento.

L’EMDR invece, in fondo, altro non è che la pratica delle libere associazioni, facilitata dalla stimolazione bilaterale. E perché le associazioni siano libere non ci devono essere interferenze.

Con l’aiuto della stimolazione bilaterale il cervello va a cercare le risorse di cui ha bisogno per integrare gli eventi traumatici. Ecco che tutto si modifica, perché l’informazione fa una strada nuova, non vincolata dagli automatismi. Non vincolata, potremmo dire, dai Modelli Operativi Interni di Bowlby. “Mi è successo perché ero piccola e sola, non perché sono sporca. Sono una persona meritevole di amore”.

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale: il peso della realtà storica

L’EMDR è un po’ un ritorno alle origini, al primo Freud. Al Freud che nel 1896 parlava di trauma infantile in tutti i soggetti. Egli stesso però ha poi cambiato la sua teoria e ha sostenuto allora che il trauma fosse una costruzione della mente della persona. Da lì in poi, negli orientamenti psicodinamici si è data importanza al vissuto fantasmatico del soggetto, piuttosto che a quello reale.

L’analista relazionale non dà poi molto peso alla realtà storica. I vissuti sono di gran lunga più importanti.

Al contrario, il primo passo per fare EMDR è concettualizzare il caso pensando al paziente come una persona portatrice di una storia. Una storia che ha determinato una sofferenza tale da spingerlo a chiederci aiuto. Il terapeuta EMDR va perciò a cercare cosa è accaduto nella storia del paziente e della sua famiglia. Costruisce poi una linea del tempo con gli eventi associati alla sofferenza del paziente.

Una delle domande tipiche del terapeuta EMDR è: “Cosa ti dice questo evento di te? E quando l’hai imparato per la prima volta, ripensando magari a quando eri bambino, coi tuoi genitori?” Questo significa fare un link tra presente e passato. Il che è assolutamente compatibile con la visione relazionale della mente.

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale: i vissuti del terapeuta

Non conta per un terapeuta EMDR il proprio vissuto. Si sa che un terapeuta, diciamo così, ben analizzato, lavorerà meglio di un terapeuta con troppi nodi irrisolti. Ma il terapeuta EMDR non usa coscientemente il proprio vissuto nel lavoro (quantomeno non da protocollo).

Al contrario questo per un terapeuta relazionale è imprescindibile.

Anche mentre faccio la stimolazione bilaterale mi ascolto, continuamente e profondamente. Sono attenta a monitorare cosa accade dentro di me. La mia bussola sono io col mio sentire, non la prossima fase del protocollo. Questo per me significa integrare EMDR e psicoanalisi relazionale. Significa che la relazione terapeutica nell’EMDR ha un peso molto grande. Che non è uguale quale sia il terapeuta, che il terapeuta modifica il campo analitico.

Non tutto è così chiaro e automatico come protocollo vorrebbe. Molto è intuizione clinica, è comunicazione tra emisferi destri. Una comunicazione che sfugge alla comprensione razionale. È la relazione, l’ascolto, la sintonizzazione ciò dentro cui i cambiamenti possono avvenire, non il protocollo.

Integrare EMDR e psicoanalisi relazionale, dando rilevanza alle componenti inconsce dell’interazione, significa amplificare la grande efficacia dell’EMDR.

 

Se vuoi approfondire come integrare EMDR e psicoanalisi relazionale leggi anche: “Similitudini tra EMDR e psicoanalisi relazionale: verso l’integrazione

 

 

 

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