Gestire il trauma psicologico provocato dal coronavirus è una grande sfida in questo momento. Tutti noi, chi più chi meno, manifestiamo qualche segnale di stress. Disturbi del sonno, problemi di memoria o di concentrazione, affaticamento, irritabilità, isolamento, o anche abuso di sostanze.
La consapevolezza e la legittimazione dei nostri vissuti sono il primo passo utile a gestire il trauma psicologico provocato dal coronavirus.
Mi sono fermata, prima. Ho chiuso gli occhi. Mi sono fatta la domanda che faccio sempre ai pazienti: qual è l’immagine peggiore? Qual è la cosa che più ti disturba di tutta questa vicenda? La mia mente si è affollata di immagini. Ognuno ha il suo punto di rottura. Per me, come forse per tutti i genitori, lo sono le mie figlie.
Al pensiero che loro si ammalino mi si è fermato il cuore per un attimo, poi ha cominciato a battere veloce, un brivido di freddo mi ha attraversata e mi è venuto da piangere. Mi sono bloccata e in un frazione di secondo ho detto a me stessa: NO. Questo pensiero no. Se entri qui entri in un buco nero e non trovi più risorse.
Tra l’altro è un pensiero irrazionale, perché nessun bambino si è ammalato gravemente.
Ma questa è una tipica reazione da stress. Devo allora risvegliarmi e recuperare le cose che so. Devo anche chiedere aiuto alle mie difese: in questo momento un pochino di evitamento (“Non pensarci”) è utile.
Cominciamo col dire che, come tutte le emozioni, la paura ci protegge. Se nel tentativo di aiutare una persona a gestire il trauma psicologico provocato dal coronavirus gli dicessi: “Non avere paura” sbaglierei di grosso. La paura è ciò che garantisce la nostra sopravvivenza fisica. Mette in moto il nostro corpo con le reazioni di attacco e fuga. Se invece scappare non è possibile la paura ci paralizza. Infatti congelandomi o fingendomi morta è molto più probabile che il predatore si allontani, credendo di avermi in pugno. Questo meccanismo istintivo spiega la maggior parte delle reazioni nei casi di violenze o abusi sessuali.
I comportamenti irrazionali sono frequenti nelle situazioni traumatiche. Una paura che mi fa seguire le prescrizioni sanitarie è protettiva; prendere il treno verso Sud invece no: sto letteralmente fuggendo. Ma non sto tenendo conto di tutti i dati di realtà, la mia corteccia cerebrale è in parte spenta. Primo tra tutti che potrei infettare i miei familiari. Reagisco, senza riuscire a ragionare. Questo è quello che fa il trauma. Finché il trauma non sarà elaborato è come se potessimo accedere solo ad una parte della nostra mente e delle nostre risorse.
Con l’evitamento la mente dice: “Non ci pensare, è troppo, evita tutto ciò che ti fa venire in mente quella cosa”. Questo è un meccanismo di difesa prezioso, perché mi permette di continuare a funzionare nella quotidianità tenendo fuori i pensieri peggiori. Ognuno ha la sua soglia. Forse ci farà sentire in colpa non riuscire a stare vicino al nostro amico che ha perso il papà, certo; ricordiamoci che stiamo anche noi cercando di gestire il trauma psicologico provocato dal coronavirus. Ciascuno di noi si ascolti, il più possibile. Cerchiamo di essere consapevoli di questi nostri meccanismi e di accettarli. Così sarà più possibile entrare in contatto con quei vissuti.
Infatti evitamento significa anche fingere che il problema non esista, o che non ci riguarderà. Uscire inutilmente, assembrarsi, non prendere precauzioni sono tutti segnali di un evitamento che sconfina nella negazione. Cosa che rischia di fare molto male a noi e alla comunità.
Leggere incessantemente notizie ha a che fare proprio col tentativo di abbassare l’ansia. Ma le abbuffate di articoli non faranno che aumentarla.
Per prevenire e gestire il trauma psicologico provocato dal coronavirus è meglio limitare le informazioni per esempio a una o due volte al giorno. Certo l’idea di poter capire, prevedere e prepararsi a quello che succederà ci fa star meglio. Ma purtroppo il coronavirus è invisibile e imprevedbile. Per definizione dobbiamo tollerare di non avere il controllo su questa cosa.
Abbiamo bisogno di avere la sensazione di poter fare qualcosa, cambiare gli eventi, avere una qualche forma di padronanza.
Forse alla fine di questa vicenda scopriremo che il personale sanitario avrà meno vissuti di impotenza. Perché loro possono intervenire e cambiare qualcosa. Questa è una risorsa per gestire il trauma psicologico provocato dal coronavirus.
Noi possiamo fare i volontari, aiutare chi ne ha bisogno come possiamo, possiamo stare a casa, per fermare il virus. Avere in mente di essere in missione, come dice il bimbo in questo video. A questo proposito #iorestoacasa per sconfiggere il Covid-19.
La ricerca ci dice che il trauma è tale perché lo stress rimane intrappolato nel corpo. Se non abbiamo modo di agire (per esempio siamo sotto le macerie durante un terremoto) siamo più esposti al disturbo post traumatico da stress (PTSD).
L’ironia si spreca, in questo periodo, sul fatto che ci siamo scoperti tutti corridori da quando siamo in quarantena. Ma la verità è che come sempre la mente sa bene quello che fa. Combatte il senso di impotenza da un lato e dall’altro, molto probabilmente, cerca il modo di scaricare lo stress ed evitare un PTSD.
In questo momento siamo tutti separati e bloccati. Dobbiamo pensare che non lo siamo solo per decreto: stare a casa è il nostro compito, il nostro modo per fare qualcosa contro il virus.
Quindi facciamo sport in casa, attività manuali. Muoviamo il nostro corpo per scaricare gli ormoni dello stress e muoviamo le nostre mani per rilassarci. Se proprio abbiamo bisogno di uscire di casa facciamo i volontari temporanei della croce rossa. Basta compilare questo form.
Se è vero che il coronavirus è un trauma per tutti, non è per tutti uguale. Qualcuno sta passando da questa vicenda con fatica e dormendo poco, qualcuno invece paralizzato a letto dalla paura. In mezzo c’è tutta una serie di comportamenti e reazioni, a seconda di come ciascuno di noi è arrivato qui.
Quando la reazione da stress è “tanta” probabilmente si sta riattivando qualcosa che viene dal passato. Un senso di precarietà molto più antico di chi ha vissuto altre vicende scioccanti. Altri disastri collettivi, per esempio. Ma anche abusi, violenze in cui si è stati chiusi in casa forzatamente; oppure interventi medici in cui siamo stati noi stessi sul punto di soffocare, magari poi intubati. Altri periodi di solitudine e isolamento o lutti traumatici.
Tutto il nostro sistema interno cerca di gestire il trauma psicologico provocato dal coronavirus come meglio può. Ma se quello che accade oggi richiama, ad elastico, dei traumi del passato non elaborati può farci andare in tilt. Diventa molto probabile che le nostre difese ci vengano in aiuto ma senza la mediazione della corteccia cerebrale. Per esempio potremmo usare le sostanze (e quindi esacerbare delle dipendenze) per anestetizzarci; o rimanere paralizzati in balìa della paura, come farebbero i rettili nel momento del pericolo. E così via. In questo caso il mio consiglio è chiedere aiuto ai terapeuti sul territorio (molti si stanno rendendo disponibili anche per consulenze gratuire in questo momento di crisi) per evitare l’accumulo di vissuti traumatici nella nostra mente. Si può cercare sul sito dell’Ordine degli Psicologi della propria regione.