Perché è difficile reagire all’abuso sessuale

Perchè è difficile reagire all'abuso sessuale

Reagire o non reagire all’abuso sessuale non è una scelta. Le persone che hanno subito molestie spesso sentono in qualche modo di non aver fatto abbastanza per impedirlo; come se avessero “scelto” di non reagire all’abuso sessuale. Quello che cerco sempre di spiegare in terapia è che non sono riuscite a reagire all’abuso perché questa è la cosa migliore che potevano fare per se stessi! In quel momento, con quelle risorse a disposizione, reagire sarebbe stato troppo pericoloso. Spiego che non sono riuscite a reagire all’abuso perché siamo prima di tutto animali e gli animali fanno così.

Le reazioni istintive di fronte al pericolo

Nei documentari si vede bene che se una preda si trova ad affrontare un predatore accadono due cose: se il pericolo è gestibile ha una reazione di fuga o di attacco; se invece il pericolo è ingestibile,  come nel caso in cui sia in trappola o a rischio di morte, allora la preda va in “freezing”. Si blocca, si finge morta, “congelata” (freeze) e aspetta che il pericolo passi. Smette anche di respirare. Solo dopo, quando la sensazione di impotenza non è più così forte (per esempio perché il predatore si è allontanato convinto che la preda sia morta), solo dopo si può fuggire.

Per questo è molto difficile reagire all’abuso o alla molestia. Per questo spesso le persone non riescono a chiamare aiuto, a lottare, a fuggire. Non si reagisce perché il pericolo è tale da sentirsi completamente impotenti. L’impotenza è l’unica cosa che la mente non può gestire. Paralizzarti, quando la tua mente sta vivendo un trauma, è la migliore reazione che tu possa avere, selezionata dalla natura.

Reagire all’abuso sessuale: istinto vs ragione

Nei momenti di pericolo il cervello “alto” quello sofisticato, razionale, più evoluto, si spegne. Reagiamo d’istinto, con le funzioni più basse e più primitive. Questo ha una funzione molto precisa: non posso mettermi a valutare e soppesare i pro e i contro di una situazione, come farebbe la parte evoluta della mente. Non posso mettermi a dire “Mmm…vediamo… conviene che io stia immobile, che io scappi, che io urli, o che lo prenda a pugni? No beh, forse è meglio fare così piuttosto che così”.

Nel momento del pericolo, mentre faccio queste operazioni mentali, sono già morto. Lo posso fare se ascolto questa notizia al tg dal divano di casa, o mentre ne parlo coi colleghi davanti alla macchinetta del caffè. Ma la cosa più saggia da fare nel momento del pericolo, selezionata nel corso dell’evoluzione, è spegnere le funzioni analitiche del cervello. Far prendere il comando alle funzioni inferiori e istintive: non pensi, agisci. Attacchi o fuggi. Ma se non è possibile fingiti morto. Quindi reagire all’abuso di solito non è un’opzione semplicemente perché il nostro cervello usa il meccanismo di difesa del freezing; il freezing è completamente al di fuori del nostro controllo cosciente.

Non è colpa tua

Non è colpa tua dunque se qualcosa è avvenuto. Quello che puoi pensare dopo, o che possono pensare gli altri, è diverso perché non è una reazione viscerale. Dal divano di casa mia infatti posso analizzare le opzioni, ma nel momento del pericolo no.

Talvolta le vittime possono aver avuto delle reazioni in qualche modo di “piacere” durante il momento dell’abuso. Questo le confonde e le fa sentire molto in colpa. Ma anche qui, normalizziamo: non hai potuto reagire all’abuso perché sei andato in freezing e hai provato “piacere” perché i tuoi organi genitali funzionano correttamente e sono intatti. Il “piacere” in questo caso è una reazione meccanica a una stimolazione, non segnale di desiderio.

Abusi ripetuti e dissociazione

Forse stai pensando che però a te è successo tante volte, sempre con la stessa persona e che tutte le volte non sei riuscito a reagire all’abuso, che ad un certo punto potevi evitarlo.

Una molestia è un trauma. Già una sola, di per sé, crea uno stato di vulnerabilità nell’individuo. Questo stato di vulnerabilità gli rende più difficile reagire alle aggressioni successive perché il trauma subito ha shockato la mente, che è come andata in tilt. Si può creare, e spesso si crea, uno stato più o meno grave di dissociazione per cui la mente, per proteggersi, va altrove mentre il corpo viene violato. Quasi come sotto incantesimo.

Questo stato di dissociazione è una protezione per la mente ma è anche una trappola che aumenta il senso di colpa e di vergogna non solo perché porta con sé la sensazione di “averlo lasciato fare” ma soprattutto perché crea confusione. La mente per proteggersi dimentica, confonde e sovrappone. Spesso le vittime hanno il dubbio che il loro ricordo sia fantasia e non sanno esattamente di che cosa possono accusare il loro abusatore. Sanno solo che una canzoncina rimbomba nella loro testa quando vanno “là” col pensiero. Si sentono esse stesse insicure dei propri vissuti, del proprio essere vittima. Ma questo è precisamente un segnale della mente traumatizzata.

Abusi ripetuti e impotenza appresa

Come ha dimostrato Seligman in un noto esperimento gli animali chiusi in una stanza da cui non possono scappare dopo un po’ smettono di cercare di uscire. Anche quando le condizioni cambiano, le gabbie vengono aperte e potrebbero liberarsi non lo fanno. È il concetto di impotenza acquisita: smettiamo di cercare delle opzioni, delle possibilità, una volta che abbiamo imparato che non possiamo scappare. Questo, che di per sé è un meccanismo naturale nella mente traumatizzata, diventa poi lo stimolo alla vergogna.

Asimmetria della relazione tra vittima e carnefice

Nelle molestie ripetute si crea una relazione tra vittima e carnefice tale per cui la vittima teme di non poter reagire all’abuso, altrimenti le conseguenze per sé o per la sua famiglia saranno peggio di quello che sta vivendo. Il potere che il carnefice esercita sulla vittima passa anche solo dal fatto che tra i due ci sia una relazione asimmetrica. Non è necessario che ci sia costrizione fisica. Per esempio tra un insegnante e un alunno, un genitore e un figlio ma anche un cugino/fratello/compagno percepito per qualche motivo più forte e vincente e quindi più potente. O un produttore, o un prete, o uno psicoterapeuta. Insomma, la relazione è asimmetrica ogni volta che uno dei due ha più potere dell’altro.

Il pericolo per gli esseri umani non è solo un pericolo fisico, è anche un fatto relazionale. Anche la paura di mettere a rischio delle relazioni può paralizzarci. Anche questo spesso spiega perché non riusciamo a reagire all’abuso nemmeno in un secondo momento, denunciando. Perché la paura di perdere l’amore e la stima degli altri è terribile per un essere umano.

Come da cronaca recente può accadere che una persona magari non riesca a reagire all’abuso per anni, non denunci per anni e poi lo faccia da adulta, quando, almeno apparentemente, è riuscita ad andare un po’ oltre. Perché? Proprio perché è un po’ più grande, ha trovato una qualche forma di stabilità ed è riuscita ad andare un po’ oltre. Tutto questo la rende un po’ più forte, il che le permette di sentire l’abusatore un po’ meno potente rispetto a lei. Ovviamente questa sensazione è ancora più forte quando più persone cominciano ad accusare chi le ha fatto del male.

I bambini abusati sono bambini non protetti

Le vittime spesso sono vittime perché non sono protette. Non hanno dentro di sé un’abitudine a monitorare il proprio sentire, ad usarlo come bussola. Non riconoscono il lupo, sotto il travestimento da nonna, perché non si portano dentro dei fattori protettivi sufficientemente sicuri e stabili e quindi si confondono. Sentono magari che qualcosa non va ma vedono solo il travestimento da nonna e così il lupo se le mangia.

Una persona (uomo, donna o bambino) che denuncia un’aggressione subita è una persona che crede che il mondo la aiuterà, che per quanto traumatico sia stato l’evento può ancora avere fiducia in qualcuno, ricevere cure e avere giustizia. Se non hai potuto reagire all’abuso, se non hai denunciato, probabilmente è perché questa convinzione non ce l’hai. Perché non ti sentivi abbastanza sicuro del fatto che saresti stato aiutato e protetto da quel momento in avanti, e che le altre persone avrebbero pensato che il colpevole era lui (o più raramente lei), non tu.

Chiedere aiuto

Elaborare l’abuso è fondamentale per potersi liberare dai sensi di colpa, di vergogna e dalla sensazione di impotenza che la mente si porta dentro. È proprio importante pensare a un lavoro psicoterapeutico che aiuti a chiarire le dinamiche che hanno permesso che questo avvenisse; la rabbia e la paura connesse all’evento e il dolore per non essere riusciti a reagire all’abuso.

Per tutte le ragioni che abbiamo visto inoltre se stai subendo abusi non puoi fare tutto da solo, chiedi aiuto. A un insegnante, a un dottore, al telefono azzurro o a un amico di famiglia, se senti che i tuoi familiari non ti aiuterebbero. Chiedi aiuto. Fidarsi è molto difficile ma per fortuna la maggior parte delle persone vogliono proteggere i bambini e provano dolore quando un altro soffre, quindi cercano di aiutarlo.

 

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