Il contatto corporeo nella relazione mamma-bambino è fondamentale nella crescita psichica. Infatti è il nostro corpo quel luogo in cui, all’inizio della vita, accadono le cose. E il corpo della madre è il medium delle cose che accadono sul corpo del bambino.
Freud ha detto che il primo Sé è un Sé corporeo. Le nostre prime esperienze sono corporee (piacere, dolore, caldo, freddo, fame, sonno…) e sono quelle che costruiscono la nostra identità. Nel tempo, con lo sviluppo del cervello, l’esperienza diventerà sempre più complessa.
Le esperienze che facciamo, in particolare quelle localizzate sulla pelle, sono ciò che ci permette di dare significato alle cose. Così se tocco un ago e mi pungo quello avrà il significato di dolore e pericolo e ne resterò lontano. Toccando una copertina morbida e profumata invece farò un’esperienza di piacere.
Tutto quello che provo nel mio corpo dà un senso a me e all’ambiente che abito. Se sento fame e poi sento il latte che scende fino al mio stomaco comincio ad organizzare il mio mondo come un bel posto soddisfacente. E posso dedicarmi a molte cose, anche più complesse, quando sento il mio corpo soddisfatto e al sicuro. Altrimenti faccio molta fatica a regolarmi e organizzarmi interiormente. Faccio un’esperienza penosa di stomaco vuoto, tensione, sudorazione, pianto ecc. Tutta un’esperienza corporea, che, ripetendosi più e più volte, mi dirà qualcosa di me e del mio ambiente. Per esempio: “Io sono buono, importante e quindi valido; gli altri sono gentili e affidabili”, quando i miei bisogni vengono soddisfatti. Oppure “Io non conto, sono cattivo e gli altri sono inaffidabili”, quando i miei bisogni vengono ignorati.
Qualcuno ha detto che i 9 mesi di gravidanza noi non ce li ricordiamo, ma la nostra pelle sì. Mi viene in mente quanto, per le mie figlie, fosse magico e talvolta istantaneo l’effetto calmante dell’essere messe in fascia. In fascia abbiamo superato momenti di sonno estremo, visite indesiderate, coliche, rumori eccessivi. Portare addosso i bambini significa che mamma e bambino sono immersi in una stimolazione reciproca, prima di tutto epidermica. E visto che il corpo è un luogo così significativo, il tipo di stimolazione a cui è sottoposto determina l’esperienza interiore che facciamo di noi stessi!
Portando, il luogo della conoscenza reciproca è la pelle. Gli stati d’animo sono percepiti in un attimo, dal fremito di una gambina o da un’accelerazione del battito cardiaco col quale si è in contatto. Questo è vero in entrambe le direzioni. Il corpo è infatti anche quello spazio in cui immediatamente ci si conosce. Nel contatto fisico la mamma capisce come sta il bambino e il bambino capisce come sta la mamma. La pelle poi è un organo enorme, quindi i punti di contatto e conoscenza sono tantissimi.
Nell’incontro e nel riconoscimeto tra corpi c’è anche un livello di accettazione o non accettazione e di approvazione o disapprovazione immediato. Nella cura del corpo del bambino si esprimono l’amore e il riconoscimento. Così lo sviluppo del senso del Sé del bambino sarà basato sull’esperienza di vivere come una persona che è stata accettata. Per questa ragione la trascuratezza è un trauma. Il corpo del bambino infatti ha bisogno di cure e se non le riceve quel bambino non può sapere di contare.
Quando subiamo esperienze violente (malattie comprese) è il nostro Sé corporeo, di solito, lo strato più interno da curare. Infatti è lui quello che si sente “rotto”.
Non sempre il contatto corporeo nella relazione mamma-bambino è un contatto tenero e sintonizzato. Alle volte i genitori maltrattano fisicamente i bambini.
Il cervello risponde a stimoli piacevoli con picchi di neurotrasmettitore: tanto in breve tempo, così che ci venga voglia di andare a ricercare quell’esperienza! Al contrario, risponde a stimoli dolorosi rilasciando poco neurotrasmettitore per un tempo lungo, in modo che ne rimaniamo lontani. La ricerca ci dice che mentre proviamo dolore le nostre funzioni superiori funzionano meno bene. Facciamo fatica a imparare cose nuove e siamo meno empatici. In sostanza siamo meno intelligenti (inteso anche come intelligenza emotiva).
Il cervello è programmato da millenni e millenni di evoluzione a stare lontano dal dolore. Insegniamo ai bambini a non toccare il fuoco, gli aghi, le forbici, i coltelli. E poi li sculacciamo. O li schiaffeggiamo. Magari proprio perché hanno rischiato di farsi male o hanno fatto male a qualcuno. Ma il corpo invia segali al cervello, e così facendo costruisce l’architettura del cervello, qualsiasi sia la l’esperienza che fa. E poiché il contatto corporeo nella relazione mamma-bambino è un’esperienza fondante per la psiche, se quel contatto è prevalentemente doloroso a fondamento della psiche c’è il dolore.
Come dicevamo, esperienze ripetute di sintonizzazione e armonia con la madre insegnano al bambino che può fidarsi, considerarsi importante, essere calmo e calmato.
Al contrario, se un bambino fa esperienze ripetute di non sintonia, di dolore e paura imparerà qualcosa di molto diverso. Il cervello di quel bambino cercherà di fare il meglio che può per proteggersi. Ricordiamoci che il bambino, a zero, uno, due, tre anni e ancora a lungo, ha tanto bisogno di mamma per sopravvivere: non può prendere e andarsene. Dunque quel bambino comincerà a raccontarsi una certa storia su di sé, molto negativa. Io sono cattivo, poco importante, non posso calmarmi visto che quando piango ricevo botte. Non devo valere molto, se quando sbaglio vengo picchiato.
Dunque per sopravvivere la sua mente si dividerà in due o più parti. Una che cerca la mamma e continua ad amarla per essere curato da lei e avere per esempio da mangiare. Questa è la parte che pensa “Sono io che non vado bene”. Ce ne sarà poi almeno un’altra, che ne ha paura o è arrabbiata o si vergogna eccetera. Questo è l’inizio della dissociazione, dell’ansia che arriva al’improvviso, degli scoppi d’ira incomprensibili e di molti altri problemi da adulto. Una parte gestisce la quotidianità, l’altra si attiva quando qualcosa la riporta al trauma antico.
Per i neonati il corpo materno è il pianeta universo mondo. E in qualche modo questa cosa ce la portiamo dietro per sempre. Una certa quantità e una certa qualità di contatto corporeo nella relazione mamma-bambino sono necessari per la sopravvivenza psichica. Separazioni precoci (per esempio per nascite premature) richiederanno tutta la vita un tentativo di riparazione di quel distacco. Perché è nel corpo della madre che si impara a regolarsi e a calmarsi. Con la crescita la necessità di quel contatto diminuisce, la possibilità di gattonare e poi camminare è un chiaro segno della preminenza del sistema esplorativo.
La comparsa della parola poi è un evento pazzesco, che di nuovo organizza la vita psichica in un nuovo modo. C’è un ponte tra me e mamma, posso sapere che sono con lei anche se non siamo nella stessa stanza, anche se non la vedo. Mi basta chiamarla. Ma le esperienze di contatto saranno sempre fondamentali: se ci sentiamo in pericolo la prima cosa che cerchiamo è la vicinanza fisica della nostra figura di attaccamento.
Ormai tutti sappiamo, almeno sulla carta, che i bambini non si picchiano. Una sculacciata o uno schiaffetto sulle mani non equivalgono a un pestaggio, questo è evidente al di là di qualunque posizione ideologica. Ma non equivalgono neanche al rispetto e sono il contrario della sintonizzazione. Sicuramente tutti noi genitori abbiamo modi migliori per farci capire dai bambini. E se non li troviamo è bene che chiediamo aiuto.
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