La comunicazione non violenta in famiglia: dal conflitto alla sintonia

comunicazione non violenta in famiglia

Comunicazione non violenta in famiglia: cos’è

La comunicazione non violenta in famiglia è una risorsa preziosa. La CNV è una forma di comunicazione orientata a riconoscere i sentimenti e i bisogni che influenzano il comportamento delle persone. Usare la comunicazione non violenta in famiglia significa spostare il piano della comunicazione. Si passa infatti da quello della vergogna e della colpa a quello dell’espressione di sentimenti e bisogni.

Quando litighiamo con qualcuno, di solito, abbiamo delle buone ragioni. Anche l’altro le ha. Se cerchiamo di stabilire chi ha ragione e chi ha torto ci offendiamo e non riusciamo ad uscire dalla discussione. Abbiamo bisogno di esprimere e comprendere le ragioni, di cogliere i bisogni che hanno mosso i comportamenti di entrambi. Usare la comunicazione non violenta in famiglia permette di fare proprio questa operazione.

Il concetto base della CNV infatti è espresso dal titolo di un libro del suo fondatore, Marshall Rosenberg. Questo libro si intitola: “Preferisci avere ragione o essere felice?”.

Affrontare i conflitti coniugali con la comunicazione non violenta in famiglia

La vita quotidiana non è fatta di massimi sistemi. Anche se poi in una coppia ci sono problemi profondi sottostanti, gran parte dei conflitti coniugali è fatta di calzini sporchi e bollette da pagare.

Forse l’80% delle situazioni si risolverebbe, senza esplodere, in modo soddisfacente per entrambi, se si usasse le comunicazione non violenta in famiglia.

La comunicazione non violenta in famiglia ha un potere particolare, perché cambia il piano a cui siamo abituati. Consigli, interpretazioni, accuse e giudizi sono fuori dalla CNV.  E dunque anche la colpa e la vergogna. Quanto spesso in coppia ci si accusa! “Sei il solito egoista, mi hai stufata!”. In CNV una persona direbbe: “ Quando fai così mi sento dispiaciuta perché ho bisogno di … . Ti va bene di fare in quest’altro modo?”.

Usare la comunicazione non violenta in famiglia per distinguere tra bisogni e strategie

La distinzione tra bisogni e strategie è stata ciò che più mi ha colpito nella teoria della comunicazione non violenta. Una cosa così apparentemente semplice è stata per me illuminante.

Rosenberg ci fa notare che quello su cui si scatena il conflitto spesso non è il bisogno, ma la strategia che si usa per soddisfarlo.

Potrebbe esserti capitato di lamentarti con le persone con cui vivi di qualcosa tipo la tavola da sparecchiare o le troppe spese sostenute. Cosa hai fatto in quel momento? Forse hai detto qualcosa del tipo: “Tocca sempre a me fare tutto!” o “Non pensi mai a quanto fatico io!”. Così facendo, cosa hai ottenuto? Qualche (rara) volta che anche i tuoi familiari facessero quello per cui ti stavi lamentando. Quasi sempre che loro si sentissero in colpa o offesi per il tuo tono e tu pure.

Con la comunicazione non violenta in famiglia sarebbe andata più o meno così: cosa osservo? Piatti sporchi sul tavolo. Cosa sento? Frustrazione e stanchezza. Di cosa ho bisogno? Di bellezza e di riposo. Cosa chiedo? “Ti va bene di sparecchiare tu?”. A questo punto probabilmente qualcuno sparecchierà, senza che nessuno si senta in colpa o in dovere di vergognarsi del proprio comportamento. Questa strategia è sicuramente più piacevole, per tutti, di quella del lamento.

Se poi ci sono figli è anche un buon esempio di interazione.

Il punto è che i bisogni sono universali e sopravvivenziali, le strategie no. Le strategie possono cambiare, i bisogni invece devono essere soddisfatti. Finché questo non accade cerchiamo modi per ottenere ciò di cui necessitiamo.

I  4 passi della comunicazione non violenta in famiglia e con gli altri

Perché un messaggio sia non violento, secondo Rosenberg, deve essere espresso in quattro passaggi, che sono: Osservazione, Bisogno, Sentimento, Richiesta. Cosa osservi, cosa senti, di cosa hai bisogno e cosa richiedi? E l’altro? Imparare ad usare la comunicazione non violenta in famiglia vuol dire imparare ad esprimere e ad ascoltare.

Nell’osservazione troviamo i comportamenti concreti che osservi e che hanno acceso il conflitto per te. Per esempio:

“Quando vedo che sbatti i pugni sul tavolo e sento che mi parli a voce alta”.

Poi passiamo ai sentimenti: cosa senti? I sentimenti sono nostra responsabilità, non dell’altro. “Mi sento abbandonato” non è un’espressione CNV, perché è l’altro che mi abbandona. È un’espressione accusatoria. “Mi sento solo” invece  sì, perché sono io che mi sento solo, tu non sei la causa del mio sentire.

Dunque una persona che vede l’altro che sbatte i pugni sul tavolo e sente che parla a voce alta potrebbe proseguire dicendo:

“Mi sento triste e impaurito”.

Ad ogni sentimento corrisponde un bisogno, quindi: “Mi sento triste e impaurito perché…”

“Ho bisogno di rispetto e serenità”.

Ora che queste cose sono chiare si può formulare la richiesta. È importante imparare a fare richieste gentili, concrete e positive. Per esempio:

“Sei d’accordo di parlarmi con un tono di voce basso e con le mani ferme?”.

La soddisfazione dei bisogni con la comunicazione non violenta in famiglia

Per chi usa la comunicazione non violenta in famiglia e fuori una cosa è evidente. E cioè che la sola soddisfazione del proprio bisogno, senza tenere conto del bisogno dell’altro, semplicemente non è possibile, è un non-senso.

“Io sono soddisfatto se lo sei anche tu” è la base di tutto. L’essere umano ha bisogno di pace, armonia, libertà di scelta. Questi sono bisogni universali che accomunano anche i peggiori oppressori.

Il denaro, il potere, i comportamenti dittatoriali altro non sono che strategie. Tali strategie servono per soddisfare bisogni di sicurezza, protezione, rispetto, apprezzamento, considerazione.

Anche in questi casi estremi sono le strategie ad essere sbagliate, non i bisogni.

La comunicazione non violenta in famiglia: costruire un mondo non violento

Nella prefazione di Arun Gandhi al manuale di CNV “Le parole sono finestre. Oppure muri” si legge una frase. Questa dice: “Il mondo è così come lo abbiamo fatto noi. Se oggi è spietato è perché lo abbiamo reso spietato con i nostri atteggiamenti. Se cambiamo noi stessi possiamo cambiare il mondo e questo cambiamento comincia nel linguaggio e nella comunicazione”.

Certo forse è utopistico pensare di cambiare il mondo con la comunicazione non violenta. Che basterebbe parlare coi potenti della terra, esprimere i propri bisogni, ascoltare i loro con empatia e fare delle richieste concrete, positive e gentili.

Ma io credo sia profondamente vero che il mondo si cambia un bambino alla volta; per questo trovo nella comunicazione non violenta in famiglia uno strumento prezioso. Ci sommergiamo di giusto e sbagliato, meritevole o immeritevole, buono o cattivo, è colpa tua o sua, premi e punizioni. Così soffocati ci perdiamo il senso delle cose.

Quando nella mia vita personale riesco ad esprimermi in termini non violenti la comunicazione è serena e ne usciamo sempre tutti soddisfatti. È lì che mi rendo conto di quanto spesso, tentati dalla possibilità di affermare la nostra ragione, ci precludiamo soluzioni felici.

 

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